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“Faghan – Figlie dell’Afghanistan”: una mostra necessaria

“Lo so, mio cuore, c’è stata la primavera e tempi di gioia con le ali spezzate non posso volare

da tempo sto in silenzio, ma le canzoni non ho dimenticato anche se il cuore non può che parlare del lutto

nella speranza di spezzare la gabbia, un giorno libera da umiliazioni ed ebbra di canti

non sono il fragile pioppo che trema nell’aria sono una figlia afgana, con il diritto di urlare.”

–     Nadia Anjuman “Il diritto a urlare” (2021)

Questa poesia è stata composta da Nadia Anjuman, scrittrice afghana, che con le sue parole ci ha permesso di intravedere la “gabbia” delle donne afghane, che dal 2021 non ha fatto altro che farsi sempre più piccola e stretta, rendendo la vita di tutte loro asfissiante e intollerabile. Infatti la stessa scrittrice ha subito il destino di tante altre, venendo uccisa dal proprio marito che non sopportava la sua saggezza e la sua volontà di esprimersi come donna contro un sistema sempre più oppressore.

E’ stata proprio una poesia di Nadia ad ispirare il titolo della mostra fotografica di Simona Ghiozzi, all’interno della quale è possibile visionare un cortometraggio diretto da Emanuela Zuccalà, a Roma: “Faghan – Figlie dell’Afghanistan” organizzata da Nove Caring Humans in Via Giuseppe Libetta e fruibile fino al 16 novembre 2024.

 “Faghan”, infatti, significa “gemito o pianto di dolore” e la commovente mostra fotografica espone 19 volti di donne afghane arrivate in Italia, sui quali si possono leggere la loro storia e la loro lotta; si percepisce la sofferenza e la forza che caratterizza il percorso e le vicende di queste modelle.

Dal 2021 in Afghanistan sono nuovamente saliti al potere i Talebani, a seguito del ritiro frettoloso e scomposto degli USA e del resto dei Paesi NATO dal territorio. L’avvento del nuovo regime ha comportato una retrocessione immisurabile per quanto riguarda i diritti delle donne e delle ragazze afghane, che oggi non possono uscire di casa senza essere completamente coperte, non possono studiare dopo la scuola primaria, né parlare, né pregare insieme.

In sostanza, tramite i vari editti proclamati dai Talebani in 3 anni, si è arrivati all’eliminazione totale delle donne dalla vita pubblica (e quasi anche dalla privata), arrivando a cancellarne i volti ed a silenziarne la voce.

In un contesto dove la donna viene “eliminata” simbolicamente, questa mostra sull’Afghanistan rende visibili questi sguardi, questi gesti, questi volti, che ci parlano e ci invitano alla riflessione più profonda sull’importanza dei diritti fondamentali che ogni donna del mondo dovrebbe poter godere.

Il senso della mostra è tutto racchiuso nelle parole di Zarghona, una delle donne afghane che è ritratta tra le foto: “I diritti umani sono una responsabilità individuale. Qualunque diritto abbiamo, dobbiamo lottare per custodirlo e per rivendicarlo. Dobbiamo far sentire la nostra voce, indipendentemente da come si muove la politica. ‘Una volta che avrai conquistato i tuoi diritti, combatti per quelli delle altre ragazze e delle altre persone’: questo mi diceva sempre la mia famiglia, e lo sto facendo. ‘Non voglio che tu diventi come me’, mi ripeteva mia madre, incoraggiandomi e spronandomi, lei che invece non aveva potuto studiare.”

In un Paese che segrega ed emargina le donne, le afghane sono rimaste solo con due strade: la “morte sociale” o l’emigrazione. A tal proposito, riportiamo l’esperienza di Mahdia, campionessa di Taekwondo ed attivista che racconta:

Ora sto vivendo in un luogo in cui posso godere dei diritti umani fondamentali: ho la libertà, la libertà d’espressione, la libertà di scegliere cosa fare, cosa studiare, che lavoro intraprendere, come vivere… Ma da un altro lato penso: perché non posso godere di questi diritti a casa mia, nel mio Paese, con la mia famiglia? Perché oggi sono qui in Italia? Perché sono dovuta diventare rifugiata, per godere di questi diritti?” – Mahdia

Anche se ormai si trovano in un Paese sicuro, dalle parole di tutte le donne rappresentate all’interno della mostra emergono una forte nostalgia per il proprio Paese natale, il desiderio di avere la possibilità di ritornare e di poter vivere finalmente in pace. Pace che in Afghanistan non esiste da più di 40 anni.

Come raccontano Aliyah e Zahra quando viene chiesto loro perché hanno deciso di posare come modelle in questa mostra: “(…) Perché l’Afghanistan non è solo guerra. Possiede una storia ricca e densa, una grande diversità culturale, un’arte meravigliosa. Io vorrei riuscire a restituire quest’immagine dell’Afghanistan: una terra affascinante, con la bellezza della cultura, dei vestiti, dei gioielli, dei paesaggi.” – Aliyah

Quando il mio Paese diventerà sicuro per le donne, spero di poter tornare. Intanto mi impegno per esserne all’altezza, per formarmi al meglio al fine di dare il mio contributo all’Afghanistan.” – Zahra

La parola chiave che accomuna tutte le donne che sono rappresentate nella mostra è “libertà”.

Tutte loro infatti hanno potuto scegliere liberamente di farsi fotografare, hanno potuto prepararsi e truccarsi, sorridere oppure no. Hanno goduto e fatto uso di una libertà che sicuramente non potrebbero avere attualmente nel loro proprio paese. Così dice anche Sonia, che in Afghanistan è stata autista di “Pink Shuttle”, primo e unico servizio di trasporto locale gestito da solo donne per le donne.

“Libertà, per me, significa avere il diritto di scegliere. Libertà è avere diritto all’istruzione, a potersi evolvere. Libertà è l’orgoglio di essere donna senza la paura che, poiché sono donna, non posso essere libera” – Sonia

All’interno di questa mostra sull’Afghanistan è anche possibile visionare il cortometraggio diretto da Emanuela Zuccalà che riesce sapientemente a fornire uno spaccato di vita nella città di Kabul e soprattutto delle persone che ci vivono. A fare da voci narranti, che accompagnano il visitatore all’interno di questo viaggio attraverso lo schermo, sono le stesse donne afghane, che arricchiscono il racconto con riflessioni personali di chi ha toccato con mano le privazioni alle quali sono costrette in Afghanistan.

Large Movements APS invita tutti a visitare la mostra “Faghan – Figlie dell’Afghanistan” per ritagliarvi del tempo per riflettere su un tema centrale come sono i diritti umani, e soprattutto i diritti umani non goduti per tutti.

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Ana Calendaria Rettaroli

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