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A Perdita d’Odio: Politicamente (s)corretto con Emanuela Fanelli

di Mattia Ignazzi

Martedì 22 febbraio, presso la Biblioteca Enzo Tortora, si è svolto uno degli eventi del progetto di EMERGENCY “A Perdita d’Odio” di cui Large Movements è partner. In quest’occasione abbiamo incontrato l’attrice e comica Emanuela Fanelli ed abbiamo ascoltato il suo punto di vista sull’hate speech

Il cuore del dibattito è tutto racchiuso nel titolo dell’evento: Politicamente (s)corretto. Questo nome infatti, pone subito in risalto la difficile convivenza tra la comicità e quello che è giusto o meno dire per fare satira. La Fanelli, citando il comico inglese Louis C.K., ha definito la sua idea di umorismo: si può ridere di tutto, ma non delle vittime

Il discorso poi si è spostato inevitabilmente su “Una pezza di Lundini”, programma satirico che fa del nonsense il suo leitmotiv e del quale la comica è una delle protagoniste. L’attrice racconta di come abbia la percezione di avere molta più libertà all’interno del programma e di come la struttura irriverente e, al tempo stesso, imparziale di questo abbia contribuito a stimolare la sua libertà di espressione e creatività, oltre che quella dei suoi colleghi. 

Così come nel caso dei discorsi d’odio, anche “Una pezza di Lundini”  è diventato famoso grazie alla diffusione virale tra i giovani di meme appositamente creati – da e per i giovani stessi. Segno evidente questo di come la diffusione social e la viralizzazione di contenuti non debbano per forza avere un’accezione negativa.   

La Fanelli infatti, rispondendo ad una domanda dal pubblico, spiega di non aver mai avuto problemi con la sua comicità – che può essere definita “politicamente scorretta” – perché la stessa non ha mai avuto come obiettivo il ridicolizzare od offendere qualcuno, “forse – continua la comica – anche per buona educazione”.  

Alla domanda dell’intervistatrice, che chiedeva se l’attrice avesse mai notato dei limiti nell’uso del linguaggio, la Fanelli replica che questo si adatta e muta al secondo del suo “contenitore”: in linguaggio teatrale per è molto più libero rispetto a quello utilizzato nel cinema od alla televisione, dal momento che il pubblico teatrale è presente in sala per cui si acquista una certa confidenza con lo stesso mentre il pubblico “da casa” è un ascoltatore passivo di cui non puoi leggere le emozioni sul momento.  

Si è passati poi a parlare della cancel culture, ossia il nuovo fenomeno che tende ad eliminare dall’iconografia e, più in generale, dall’esaltazione storica quei personaggi o quegli aspetti culturali che hanno determinato la discriminazione e la razializzazione della società.  

Secondo l’attrice, la diffusione di questo fenomeno è stata determinata da un cambio di sensibilità nella coscienza dell’opinione pubblica occidentale che ha portato ad iniziare a voler filtrare tutti i concetti che invece erano stati accettati come “dogmi” dalle società precedenti.  

La Fanelli è convinta che, una volta che la cancel culture avrà terminato la sua “missione”, quello che rimarrà saranno solo gli aspetti fondamentali e fondanti che ci contraddistinguono ma mette anche in guardia dalla deriva che potrebbe prendere questo nuovo fenomeno il quale, a suo dire, potrebbe portare all’eliminazione di fatti che invece è fondamentale vengano ricordati affinché non si ripetano più perché un conto è celebrare e un conto è ricordare

Interpellata dal pubblico su un altro aspetto tipico dell’hate speech, il body shaming – ossia la ridicolizzazione dei corpi che non aderiscono totalmente ai canoni di bellezza imposti dalla società – la Fanelli ha controbattuto che su questo argomento non dovrebbe essere fatta alcun tipo di satira proprio per il concetto con il quale aveva aperto all’inizio: si può ridere di tutto tranne che delle vittime. 

In chiusura poi, la comica ha spiegato quale sia l’obiettivo fondante del suo lavoro, ossia quello di lanciare messaggi di denuncia usando l’ironia, una delle poche “armi” che non dissemina dolore – se usata come dovrebbe.  

Ed è proprio in questa battuta finale che si racchiude un po’ tutto il senso di questo incontro, inserito all’interno di un progetto sull’hate speech: si può scherzare su tutto affinché questo venga fatto con rispetto per la dignità e la sensibilità di coloro che potrebbero essere interessati in qualche modo dalla battuta. D’altronde, la risata è la migliore medicina ma per poter produrre gli effetti desiderati deve essere prescritta e somministrata da una persona che ha di fronte a sé un quadro chiaro e completo di quelle che possono essere le conseguenze della stessa. 

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